Quando il risultato delude: la chirurgia plastica secondaria
Tornare al bisturi per la seconda volta, anche in poco tempo: è la "chirurgia secondaria", una chance sempre più diffusa per poter rimediare ai danni provocati da un intervento precedente. Ricorrono al "reintervento" i pazienti che, insoddisfatti dei risultati estetici ottenuti, desiderano migliorarli attraverso una nuova operazione ricostruttiva.
Dalla rinoplastica alla mastoplastica, sono molteplici gli interventi secondari a cui si sottopone una percentuale sempre più elevata di soggetti. Gli errori di valutazione e di pianificazione, che finiscono per deludere le aspettative dei pazienti, possono essere evitati grazie ad un'accurata valutazione del caso specifico.
A snocciolare casistiche e step che traghettano i pazienti fino al "reintervento", operazione complessa in cui nulla però è perduto, è il dottor Michele Pascali, chirurgo plastico:
Dottor Pascali, ci può spiegare in quali casi può rendersi necessario operare nuovamente un paziente che ha già subito un determinato intervento estetico?
«Il vertiginoso aumento delle richieste di interventi di chirurgia estetica ha portato inevitabilmente ad un numero sempre crescente di pazienti non soddisfatti del risultato ottenuto. Un paziente insoddisfatto è un potenziale candidato per un intervento di chirurgia secondaria. Può capitare di visitare anche pazienti che si sono sottoposti a più interventi consecutivi per cercare di "riparare".
A sottoporsi a questo tipo di intervento ci sono gli insoddisfatti, ma non solo...
«Sicuramente accanto alla categoria dei pazienti insoddisfatti che si sottopongono a due o più interventi ravvicinati alla ricerca del risultato soddisfacente, c'è la categoria dei pazienti che decidono di sottoporsi ad interventi cosiddetti di "mantenimento". È il caso, ad esempio, dei pazienti che, notando i segni dell'invecchiamento cutaneo sul proprio volto, sono spinti a prendere in considerazione un nuovo intervento di blefaroplastica o di face lifting dopo 10 o 15 anni dal precedente. D'altro canto una delle prime domande che ci fa un paziente che decide di sottoporsi ad un intervento di blefaroplastica o di lifting del volto è :"Dottore, ma quanto tempo dura il risultato? Tra quanti anni dovrà essere ripetuto l'intervento?"»
È più difficile per un chirurgo tornare laddove è già intervenuto un altro professionista?
«La chirurgia secondaria è tecnicamente più difficile e presuppone un'esperienza sicuramente maggiore e una preparazione di alto livello. Infatti accade spesso che nei casi secondari la chirurgia riparatrice assuma gli aspetti di una chirurgia ricostruttiva; prendiamo per esempio una rinoplastica secondaria, in cui vanno ricostruite nuovamente le strutture del naso compromesse in seguito al primo intervento mal riuscito.»
Secondo i dati dell'Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica Aicpe, nel 2013 le operazioni secondarie sono state il 16% di quelle eseguite, e solo un terzo dei pazienti si sono rivolti allo stesso chirurgo. Perché, secondo lei?
«In una buona percentuale dei casi l'insoddisfazione del paziente è dovuta ad un'errata pianificazione dell'intervento, che porta inevitabilmente ad un oggettivo fallimento chirurgico; in altri casi l'insoddisfazione è frutto di errori di comunicazione tra chirurgo e paziente, che permettono a quest'ultimo di coltivare false aspettative. Per tale motivo risulta di fondamentale importanza il colloquio preoperatorio, che deve essere approfondito sotto tutti i suoi aspetti.
Qual è il suo approccio nei riguardi dei pazienti che si rivolgono al chirurgo "delusi" dal primo intervento estetico?
«La prima cosa da chiarire è la maggiore complessità dell'intervento a cui verrà sottoposto, analizzando dal punto di vista anatomico le conseguenze che ha prodotto il primo intervento e le possibili soluzioni. Uno dei casi che più di frequente richiede un ritocco o una vera e propria correzione è la rinoplastica.
Ci può fare un esempio dei più comuni motivi di "ritocco" del naso?
«Bisogna anzitutto chiarire che la rinoplastica è uno degli interventi di chirurgia estetica che richiede la maggiore abilità chirurgica e la padronanza delle varie tecniche, per affrontare le numerose varianti anatomiche esistenti. Troppe volte giungono alla nostra osservazione pazienti con problematiche così evidenti, sia sotto il profilo estetico che funzionale, che sono la prova di interventi fatti da mani non sufficientemente esperte.
Che fare nei casi più critici, quando ad esempio nella rinoplastica si è "eliminato troppo"?
«Uno degli obiettivi è ripristinare i corretti rapporti anatomici del naso e renderlo armonico con il resto del volto. I casi più frequenti di rinoplastiche secondarie sono quelli in cui c'è stato un eccessivo sacrificio del dorso nasale, che porta alla deformità conosciuta come "naso a sella", oppure delle cartilagini della punta nasale, col risultato di un naso dall' aspetto di "punta pinzata". È chiaro che, in questi casi, all'aspetto estetico si sommano le problematiche funzionali, per cui l'intervento secondario assume un aspetto prettamente ricostruttivo. Nella nostra esperienza, nel 70% dei casi utilizziamo per ricostruire le strutture nasali danneggiate la cartilagine autologa, prelevata dal setto nasale stesso quando è disponibile, o dall'orecchio del paziente.»
In quali altri casi le capita più spesso di dover intervenire su una correzione chirurgica?
«La revisione della mastoplastica additiva rappresenta un'altro caso ricorrente, in cui le pazienti lamentano la presenza di evidenti asimmetrie tra le due mammelle, la presenza di contratture capsulari con indurimento dei due impianti protesici, o il cosiddetto "wrinkling" con visibilità del profilo protesico attraverso la pelle. In questi casi, il reintervento è quasi sempre obbligatorio e prevede la sostituzione degli impianti protesici ed il loro corretto posizionamento. Si può intervenire anche sulle asimmetrie e gli avvallamenti che provocano imbarazzanti inestetismi cutanei. In questi ultimi anni il lipofilling con trapianto del grasso autologo prelevato da altri distretti corporei del paziente rappresenta una valida soluzione nella maggior parte dei casi di avvallamenti e depressioni cutanee».